Transparent Hive

 

Transparent Hive, Bee SuperOrganism observation

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Quando dai ricercatori del Dibris, Università di Genova, è arrivata la richiesta di costruire un’ arnia trasparente da studio, per osservare tutte le fasi di vita delle api, Marco Casini, apicoltore “illuminato”, ha pensato alle arnie che usa e produce da anni, le Dadant-Blatt: 2 pareti trasparenti fronte/retro, 10 o 12 telai con coprifavo trasparente, sotto i quali le api vivono serenamente, raggiunte dalla luce del sole, che diversamente da come erroneamente si pensa, non le disturba affatto.

Antica arte quella di allevare api, una delle più antiche. I primi cenni di essa si perdono nella notte dei tempi, tutti i popoli si sono cimentati in questa passione, ma pare si debba agli antichi Egizi la loro domesticazione.

Seimila anni di storia ci separano dai primi “allevatori” di api e tutti passati paradossalmente al buio.

Seimila anni di arnie costruite con forme e materiali più disparati, a tutte le latitudini, una sola cosa in comune: tutte buie!

Si prendevano le api, si inserivano in contenitori quasi casuali e le si lasciava da sole fino a quando non era il momento del raccolto: allora le si uccideva (apicidio) e ci si appropriava del prezioso prodotto, il miele, unica fonte di “dolce” e per secoli gioia di papille gustative dei palati degli uomini.

Purtroppo per cessare di ucciderle ci son voluti millenni, e forse solo per una questione economica si è voluto e dovuto cercare un’alternativa: la soppressione annuale di migliaia di famiglie era un vero disastro economico per gli allevatori, con il problema ogni volta di ricrearne di nuove nell’immediato.

Dalla prima osservazione seria sulle api e sulle tecniche apistiche descritta da Virgilio nelle Georgiche, si fa un passo lunghissimo fino al 1625, per vedere dato alle stampe a Roma  da Francesco Stelluti, dell’Accademia dei Lincei, la Melissographia, osservazioni dell’ape”. Ape che pochi anni prima, siamo ai primi del Seicento agli albori della nascita della biologia, era stato il primo animale vivente osservato al microscopio.

Sarà solo dopo, nel 1851, che grazie alla mente illuminata di Lorenzo Langstroth, nascerà l’arnia razionale a favo mobile, dalla quale si arriverà alla moderna apicoltura razionale.

È in questo periodo fecondo per tutte le scienze che si fanno anche i primi esperimenti: nasce così la prima idea di arnia trasparente o illuminata come venne chiamata all’epoca.

Nascono quindi un po’ dappertutto tipi di arnie cosiddette illuminate, grazie a personaggi che volevano vederci chiaro, così è proprio il caso di dire. Francia, Russia, Stati Uniti, Africa: un po’ ovunque si progettano arnie che possano permettere l’osservazione di cosa succede dentro ad un nido di api, cosa fino ad allora sconosciuta ai più.

Anche in Italia ci sono stati alcuni pionieri in questo campo, tuttavia solo negli anni Ottanta del Novecento, grazie al lavoro di Alfonso Crivelli, l’arnia trasparente verrà largamente conosciuta e impiegata nel settore. Crivelli costruisce alcuni prototipi di dette arnie e vi alleva con soddisfazione famiglie di api, osservandone i comportamenti da vicino, registrandoli, notando così anche alcune differenze nel comportamento delle api in arnie buie in paragone alle illuminate, diversità causate quindi dalla luce. Pubblica anche un testo molto preciso ed esauriente che ancora oggi è l’unico in Italia sull’argomento.

Casini, da buon discepolo di Crivelli, produce così ai giorni nostri la sua arnia Dadant-Blatt, la quale permette di seguire bene l’attività di un’intera famiglia tutto l’anno, in ogni momento, senza dover oscurare o effettuare altre manovre invasive.

In un nido trasparente D-B da 10 o 12 telai, anche con 4 pareti trasparenti, si può osservare soltanto la parte superficiale del “glomere”, l’esterno dei telai, linee verticali front/retro e le 2 intere facce esterne dei telai/favi all’estremità destra e sinistra del nido, dove le api sono solite accumulare scorte e poco altro, favi che vengono usati poco anche per comunicare o per fare grooming, fattore che li rende poco interessanti almeno per il momento.

Le zone dove si svolgono le attività più interessanti per capire bene il comportamento del nostro insetto, in un nido da più telai allineati, sono al centro del glomere e dei favi, dove regina, nutrici, covata, larve, etc. sono in continuo fermento e svolgono le loro attività principali. Fondamentale è lo spazio tra il bordo superiore dei telai e il coprifavo, luogo dove nascono la maggior parte delle “danze” comunicative e avvengono parecchi spostamenti da un settore all’altro.

Per risolvere parzialmente questo problema, ci viene così incontro il coprifavo trasparente, che permette di osservare tutta la parte superiore da molto vicino e nel dettaglio. La parte centrale però, il fulcro dell’attività dell’organismo alveare, rimane un mistero a meno di non aprire il nido, ma disturbando così le api e modificandone di conseguenza il comportamento naturale.

D’altro canto l’unico modo per osservare entrambe le facce di ogni telaio/favo, senza l’uso di microcamere, sarebbe separare i telai tra di loro.

È qui che Marco Casini pensa alle arnie ad un solo favo, dette “da osservazione”, che debbono essere oscurate quando non visitate e che non permettono un’osservazione obiettiva ma solo parziale di una famiglia, privata di 9 o più favi, isolata dal resto ciclicamente per alcuni giorni e poi improvvisamente esposta alla luce per pochi minuti o qualche ora. Arnie assolutamente inutili e dannose, ma il cui principio poteva essere rivisto e sfruttato in positivo.

Pensando ad un nido in verticale con più favi che potesse essere accogliente per un’intera famiglia per lungo tempo, i problemi, soprattutto per le api, erano evidenti: spazi stretti e limitati, difficoltà di comunicazione tra i favi, mancanza di settori tradizionali per dividere scorte, covata, etc., aria forzata e temperature tutte da verificare e controllare.

Ma è anche vero che in natura, il nostro curioso e laborioso insetto, è capace di adattarsi alle più svariate situazioni ambientali, è capace di costruire nidi di tutte le forme e dimensioni, adattandosi alle forme più strane offerte dai pertugi di alberi, rocce e mille altre situazioni a volte incredibili che offre loro l’habitat circostante, preferendo tra l’altro costruire in verticale anziché in orizzontale e dedicando la zona per l’immagazzinamento del miele nella parte bassa/inferiore del nido e non in alto, contrariamente a come avviene in apicoltura “razionale”.

Due sono stati in assoluto i punti fermi da cui partire: in primo luogo, l’arnia doveva essere rispettosa di tutti i bisogni delle api osservate, in secondo luogo, doveva permetterne la sopravvivenza all’interno per un’intera stagione, in modo da poterne studiare i comportamenti in situazione normale/ottimale in tutte le sue fasi.

Missione impossibile da portare a termine in una sola fase di sperimentazione, ma raggiungibile per gradi.

La prima e arbitraria decisione è stata stabilire quanto spazio minimo fosse necessario per lo sviluppo di un’intera famiglia, seppur piccola, e di quanti favi disporre: per cominciare si è così deciso per un’arnia trasparente composta da 4 telai da nido in verticale a due settori, definita Arnia Trasparente 1.0. Aumentando il numero dei favi secondo le indicazioni pervenute durante la prima fase dello studio si è passati poi alla costruzione dell’Arnia Definitiva 2.0.

La scelta è stata più un compromesso fra fondi a disposizione dei proponenti e bisogni reali degli imenotteri, ma 4 favi possono essere sufficienti per osservare una famiglia per il primo anno, anzi, questa situazione di spazio ristretto obbligherà ad una sciamatura dopo la prima stagione e questo permetterà di pianificarne l’osservazione in tempo per osservare interamente l’evento. Il completo sviluppo richiederà poi più spazio nel secondo anno di osservazione.

Scegliere la classica forma dei telai da nido è stata un’esigenza pragmatica, sia perché possano contenere molte api, sia perché qualunque intervento dovesse rendersi necessario operando con altre famiglie poste in arnie standard, la stessa forma dei telai permetterebbe operazioni di riparazione o scambio, rapide ed “indolori”.

Inoltre, se si avesse bisogno di tenere l’arnia in una struttura chiusa, aula, laboratorio etc., si può preparare un sistema di tubi, magari trasparenti anch’essi, che permettano l’uscita delle api senza invadere lo spazio circostante durante il loro viavai e che eviti lo spostamento dell’arnia.

In tutto questo, il primo problema da affrontare è stato quello di lasciare alcune zone in ombra, usate normalmente dalle api per scopi ancora poco chiari, senza limitare il campo visivo dell’osservatore o rendere necessario l’uso di microcamere. Il secondo problema è stato determinare lo spazio necessario per la comunicazione tra i favi, in un spazio ristretto la struttura portante dell’arnia nel settore centrale poteva essere un ostacolo, ed è stata così ridotta al minimo e forata al centro, praticando delle aperture ove le api possano passare da un settore all’altro agevolmente.

Le uscite verso l’esterno sono due: una situata in alto e l’altra in basso, questo permette con l’osservazione anche di stabilire la porta preferita dagli insetti.

Potrebbe poi rivelarsi necessario nutrire tale famiglia, soprattutto per le piccole dimensioni che si troverà ad avere durante la stagione autunnale/invernale. Per questo motivo, nella parte trasparente in alto che potremmo chiamare coprifavo fisso, sono presenti due fori per la nutrizione da entrambe le parti, così da poter seguire bene la famiglia in glomere al suo spostarsi ad un lato del nido, comportamento caratteristico in molte situazioni “normali”: in questo modo le api non hanno molta strada da percorrere per raggiungere il cibo e rientrare nel glomere, problema spesso causa di morte in famiglie poco sviluppate o con scorte troppo lontane.

Fondamentale nello studio delle api è poi l’accurata osservazione delle esuvie e degli scarti che cadono nella parte inferiore del nido, per questo scopo sono stati pensati due cassettini a scatola, che permettono di conservare e recuperare con minime perdite il materiale caduto.

Altro componente fondamentale per la sopravvivenza delle api è il clima.Non deve essere troppo umido, esente da muffe, abbastanza caldo da permettere la termoregolazione dell’organismo alveare. La famiglia deve essere in grado di mantenere una temperatura non inferiore ai 37 gradi per lo sviluppo ottimale, per questo le pareti dell’arnia sono state costruite con doppia lastra e camera di coibentazione in policarbonato, materiale che permette l’osservazione interna e non presenta pericoli di rotture e dispersione di materiale tagliente come al contrario il vetro.

L’areazione interna è permessa dalla rete di fondo e dalle due porte che fungono da ingresso per l’aria, la quale per effetto delle correnti ascensionali e per effetto termico, si muove verso l’alto uscendo dai 2 fori per la nutrizione, all’uopo tutte le uscite hanno una porta in lamiera forata che ne permette la chiusura mantenendo la circolazione dell’aria.

Dobbiamo sempre ricordare che le api sono fondamentali nell’equilibrio del nostro pianeta così come lo conosciamo noi.

Una protagonista così importante della nostra vita ha sfortunatamente ancora oggi pochi studi approfonditi che le siano stati dedicati, e questo progetto è da sperarsi possa essere da  sprone per altre iniziative che la riguardino e per le quali  ciascuno secondo le proprie conoscenze e possibilità possa dare il proprio contributo.